Una dolce mattina d’inverno.

Era mattina ed era prima delle 9:30 quindi non ero ancora del tutto sveglio. Alzato sì, ma sveglio non del tutto. Ero tranquillo fermo allo stop in attesa che finisse il verde che veniva da sinistra e che passasse pure il vecchietto in bicicletta che, bontà sua, fretta non aveva.
Metto la prima e inizio ad impegnare l’incrocio (bella questa, erano anni che volevo usarla) mentre sento uno strombazzare alle mie spalle. Guardo negli specchietti e vedo (in tutti e tre contemporaneamente) un mercedes nero che spazientito tenta un sorpasso a sinistr-destr-sotto accompagnando l’elegante manova a piovra con reiterati conati di clackson.
Alla fine opta per un bruciante 0-100-0 alla mia destra senza badare a frecce o orpelli simili per fermarsi al semaforo successivo rientrando sulla mia corsia. Io, da parte mia, ho risposto con un elegante rataflash di abbaglianti corredato da un breve, ma deciso, segnale di avvisatore acustico.

Era chiaro fin dall’inizio che non poteva finire qui infatti il tizio apre la portiera fa per avvicinarsi. Io a quel punto sono gia’ fuori da un pezzo e mentre lui abbozza un “Ma stavi dormendo?” Io ho tutto il tempo di ricordargli di andare affanculo, di riguardarsi il codice della strada, di chiedergli se l’aveva visto il vecchio, di ripassare da affanculo. Entrambe soddisfatti da questo scambio di complimenti mattutini siamo ripartiti verso le rispettive destinazioni.

Che figata andare a lavorare in macchina in città.

6 pensieri su “Una dolce mattina d’inverno.

  1. Simone

    Condivido. Ti assicuro che non è male neanche prendere delle multe a botte da 50 euro quando si usa la propria macchina per lavoro!

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  2. Fede

    Qui nel cuneese siamo fortunati: sono tutti lenti, pensa che a me e’ capitato da vero incivile di strombazzare ad un semaforo!!!!

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  3. frank

    Io vado in tram e queste cose le fa il l’autoferrotranviere per me: din din din, sposta quel catorcio, vaffanculo a te ed alla tua famiglia. Queste le ultime sentite.

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  4. Alberto

    Posso solo rievocare, per quei tre gatti che non lo conoscono, l’episodio accadutomi anni orsono in quella landa dannata ed abitata da uomini con basso tasso di sviluppo civile che è la riviera ligure.
    Mi trovavo sulla via Aurelia (che è la strada che costeggia la riviera ligure appunto), sul rettilineo che subito dopo Arma di Taggia conduce a Sanremo, al volante della mia auto, quand’ecco che mi ritrovai di fronte un’auto di media cilindrata ferma in mezzo alla mia corsia di marcia. Essendo le cinque del pomeriggio di un giorno d’Agosto nei pressi delle festività ferragostane il traffico era molto sostenuto e mi veniva impossibile superare il simpatico tiratardi. Mi rassegnai quindi a qualche secondo di attesa intimandomi di placare un’ansia del tutto fuori luogo in vacanza, finché l’amico del nerboruto guidatore dell’auto in mezzo alla strada decise di accomiatarsi dagli altri suoi compari e di salire a bordo. Mi preparavo allora a ripartire ma stranamente l’attesa invece si prolungò. Ipotizzando improvvidamente che il simpaticone si fosse dimenticato di essere fermo in mezzo ad una delle strade, in quel periodo dell’anno, più trafficata dello stivale provai a ricordaglielo con un modestissimo colpo di clacson. Il guidatore non gradì e capii dalle sue movenze che mi stava proponendo attività che non sono di mio gradimento ma, l’averlo distratto dal suo scambio di convenevoli con il suo amico, lo convinse comunque ad avviarsi. Successe allora però che, per una di quelle subdole combinazioni che il regista delle nostre vite distribuisce a piene mani sul nostro cammino, probabilmente al solo scopo di rendere più credibili le serie televisive d’azione, pochi metri dopo, la strada che va verso Sanremo presentasse una galleria e, ligio al codice della strada, accesi i fari della mia auto, compiendo un’azione che per il primordiale abitante del luogo, che probabilmente ignorava questi costumi del mondo civilizzato, poteva invece avere un solo significato lampante e cioè un gesto di impazienza per la sua condotta irrispettosa altrimenti detto “vaffanculo”. La sua reazione fu belluina: arrestò improvvisamente la macchina in mezzo alla strada ed attese che lo sorpassassi per chiedermi utilizzando espressioni colorite che cosa desiderassi. Con un gesto ed un sorriso ironico gli ricordai la galleria dopodiché mi avviai. L’energumeno mi raggiunse e mi superò in galleria (a fari spenti ovviamente!), dopodiché alla prima piazzola si fermò sul lato della strada e scese di corsa dalla macchina intimandomi di fare lo stesso senza esimersi dal colorire la sua proposta con ipotesi sul mestiere della mia mamma. Un pò per una mia scarsa predisposizione alla rissa, un pò perché una rapida stima della consistenza fisica dei due mi fece pensare che non ne sarei uscito bene, decisi di proseguire. Dopo qualche centinaio di metri entrai nel parcheggio del centro commerciale dove mi stavo recando per la spesa cercando un posto libero e notando che una Panda mi seguiva passo passo. Allorché mi fermai la Panda mi affiancò ed il vecchietto sulla settantina, che ne era alla guida, richiamò la mia attenzione per riversarmi addosso la sua dura rampogna. “Ho visto sai cos’è successo – mi fece l’arzillo decano – e ti dico che hai avuto paura, se ero io – rincarò – a quello là ci spaccavo la faccia. Tu invece sei scappato perché hai avuto paura!!”. Così, con sulle spalle anche l’accusa di vigliaccheria, e per di più formulata in maniera perfettamente oggettiva da parte di un cittadino estraneo alla contesa mi dedicai felice alla mia spesa certo di avere preso coscienza di un frammento in più di quel mistero che si chiama umanità.

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  5. Bruno

    Alberto, sei veramente un coniglione.
    Minchia, se ero io li mettevo in fuga con il colpo della fenice di Nanto…

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