Quella dannata sensazione di avere ragione

La mail di Vittorio parla chiaro: l’uomo politico non è morto di morte naturale. Qualcuno lo ha ucciso, ed il movente dell’omicidio salterà fuori esaminando quel che resta del suo corpo: una gamba ed un braccio conservati in frigo. Mi allontano dal PC per andare a guardare e dallo scompartimento del ghiaccio tiro fuori gamba e braccio: sono lì dove era scritto che fossero. Da un lato questo mi tranquillizza. Dall’altro mi chiedo come faccia Vic ad tenere pezzi di cadavere nel frigo.
Torno alla tastiera e mi siedo. Davanti a me lo schermo, oltre allo schermo la porta di ingresso, chiusa a chiave. Fuori dalla porta un rumore metallico e intuisco che il padrone di casa sta tornando: meno male, avevo proprio una manciata di domande da fargli. Torno a concentrarmi sulla mail, ma qualcosa ancora non va come dovrebbe andare: chiunque sia la persona fuori dalla porta ci sta mettendo troppo. Mezzo minuto e ancora la porta non si apre e ad ascoltare bene non è rumore di chiavi quello che si sente, ma armeggiare di ferri da scassinatore. Non sono tranquillo. Non sono un cazzo tranquillo. Mi alzo dalla sedia, due passi indietro e sono sul balcone oltre la vetrata scorrevole a guardare la porta d’ingresso.
In quel preciso momento l’uscio si spalanca con un calcio secco di un uomo sulla cinquantina alto, capelli grigi, lungo impermeabile di pelle nera. Senza perdere un attimo il grigio punta la pistola verso il tavolo e spara un colpo centrando in pieno lo schienale della sedia dove io stavo seduto fino ad un attimo fa.
Nello stesso istante in cui penso “Ecco, lo sapevo” afferro la ringhiera con una mano e salto oltre il parapetto. Un lungo giro nell’aria e atterro malconcio sul terrazzo sottostante.
La botta mi sveglia.
La prossima volta vi racconto di come ho passato il we.

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