Archivio mensile:Dicembre 2003

Il Compleanno

Sabato sera: è il 20 dicembre, domani sarà il mio compleanno ed il mio lui decide di portarmi fuori a cena in un ristorantino carino, senza troppi fronzoli, ma pieno di quell’atmosfera tra il conviviale ed il romantico.
Non è che non sia contenta, ma diamine!, c’è Empoli Roma, ultima partita dell’anno, che avrei voluto godermi dagli spalti dello stadio toscano, o, alle brutte, in un pub.
Ed invece, mi tocca la cena romantica.
Fortuna che il mio lui un po’ mi conosce ed ha anche una sana dose di senso dell’umorismo, ed anche qualche chilo in più di pazienza, perché, senza troppo pudore, ho approfittato di alcune sue brevi assenze dal desco, dovute al recupero del cellulare dimenticato distrattamente in macchina e per la ricerca, davanti allo specchio della toilette, di una lente a contatto capricciosa in giro per il bulbo oculare; infatti, mentre il mio inconsapevole cavaliere era lontano dal nostro intimo tavolino da piccioncini, io tiravo fuori dalla mia borsa “mary poppins” una provvidenziale radiolina, e, vergognandomi un po’ di fronte ai camerieri, belavo qualche monosillabo per far credere di avere all’orecchio l’auricolare del cellulare e non Riccardo Cucchi che contempla e descrive le meraviglie della manovra giallorossa.
Alla fine del primi 45 minuti, però, ho dovuto confessare: “posso ascoltare almeno la fine del tempo?”. Lui sorridendo, m’ha detto sì. E poi, sul due a zero, mi sono tranquillizzata, concedendomi, in maniera molto più convenzionale e rilassata alla cena ed alla conversazione.
Che bel compleanno che ho passato! Oltre alla bella cenetta, ci mancava solo che Totti dopo il “cucchieurogol” si sollevasse la maglietta e che ci fosse scritto “Auguri Katia” sulla maglia della salute e poi sarebbe stata un’apoteosi di compleanno!
Ma, visto che sono una personcina morigerata, mi accontento così: peccato solo che Trezeguet, invece, non fosse stato informato del mio compleanno ed abbia deciso di rendere meno euforica la festa.
Faccio a tutti i coraggiosi che sono giunti fin qui nella lettura gli auguri per delle splendide feste e, soprattutto, faccio gli auguri di pronta guarigione al Beckenbauer di Mottola (Le Frattaje), affinché ritorni presto in forma, sennò capita che poi Lippi sia costretto a schierare un difensore che marca gli attaccanti sul serio!
Il 6 Gennaio ci sarà l’altra mia festa: speriamo in un regalo analogo!!!

L’inferno alle porte di Torino.

Per arrivare all’inferno c’è da fare molta coda. Le macchine, serpente interminabile di luci rosse appaiate, si muovono a passo d’uomo con il loro carico di dannati rovesciando i maledetti di serie A davanti all’ingresso, e la merce di seconda scelta lungo la strada sterrata che dalle fiamme porta in basso, al fiume.
Anche entrare non è facile: c’è una rigida selezione all’ingresso e conoscere in anticipo il Virgilio del caso non aiuta giacchè la Guida non può uscire, noi non possiamo entrare e il telefonino, nel frastuono dei gironi, è un’inutile orpello.

Quando il Mastro di Chiavi decide che è giunta l’ora entriamo ed è subito bolgia di corpi accalcati. Caldo, ressa, fumo, sudore e sorrisi snaturati dalle distanze sbagliate. Lo stanzone è grande, ma non grandissimo, e disomogeneamente farcito di anime vibranti al ritmo di un ossessivo frastuono. Ci sono angoli nei quali si può persino respirare e altri invece in cui stretti l’un l’altro come buoi si cerca un pascolo migliore in una disperata transumanza.

Tutt’intorno ragazze che altrimenti avresti detto anonime mostrano cosce e tette alzando il livello ormonale medio dello stanzone con bassi trucchi da battona di periferia: “dove sono andati i tempi di una volta, per Giunone, quando ci voleva per fare il mestiere anche un po’ di vocazione” ?.

E quindi per tutta la sera speri di trovare aria fresca, magari un po’ di musica, qualcosa da bere, al limite un’avventura. Invece ogni stato d’anima è giocoforza disilluso: all’inferno la pena più tagliente è la frustrazione della speranza, perchè non c’è aria da nessuna parte. Perchè dieci metri più in la non c’è musica migliore. Perchè anche cambiando prospettiva le facce rimangono le stesse, una uguale all’altra.

L’inferno in realtà non è in strada traforo del pino. L’inferno è un luogo dell’anima.

Weekend all’ospizio

Il fine ponte del”Immacolata l’ho passato in zona Gran San Bernardo. Sabato siamo saliti su molto sul tardi, domenica abbiamo vagato in direzione Fourchon, e lunedì abbiamo scarpinato fino alla cima del Telliers (ma è singolare o plurale? Boh…).
Ho avuto modo di stupirmi piacevolmente della quantità di cibo e alcool che la gente si può portare dietro e ho dovuto ridefinire il concetto di “zaino pieno” grazie alla presenza degli alpinisti dell’Est.
Se la domenica la Montagna aveva deciso che non c’era niente da vedere (circolare, gente, circolare…) dopo averci delicatamente illuso, il lunedì, in compenso, ci ha regalato questo: grazie Telliers.

Rock is deader than dead

Marilyn Manson e il suo allegro gruppetto formano un discreto cocktail che miscela in parti uguali rock decente, feroce critica della perversità della moralità occidentale e stimolazione di aggressività repressa per adolescenti.
Arrivato ai trenta il terzo ingrediente mi fa molto meno effetto di una volta, ma riesce comunque a strapparmi una sana risata: sempre meglio che un calcio nei denti.
Il problema viene fuori quando dopo aver sudato 25 Euro + prevendita io vado al concerto e il medesimo dura 85 miseri minuti.
…e quindi i momenti tristi della serata sono stati due: il primo quando, seduti in fondo al palazzetto, si ripensava a quando da giovani ci si buttava nella mischia sotto al palco disprezzando i matusa seduti sulle poltroncine. Il secondo quando di ritorno in macchina si pensava ai vecchi AC/DC, Guns n’Roses, Metallica. Allora sì che c’erano i veri musicisti che sudavano sulle chitarre, non come questi pagliacci in giarrettiera.

Se il rock sta morendo è perchè lo stai ammazzando tu, Reverendo dei miei stivali.

Quella dannata sensazione di avere ragione

La mail di Vittorio parla chiaro: l’uomo politico non è morto di morte naturale. Qualcuno lo ha ucciso, ed il movente dell’omicidio salterà fuori esaminando quel che resta del suo corpo: una gamba ed un braccio conservati in frigo. Mi allontano dal PC per andare a guardare e dallo scompartimento del ghiaccio tiro fuori gamba e braccio: sono lì dove era scritto che fossero. Da un lato questo mi tranquillizza. Dall’altro mi chiedo come faccia Vic ad tenere pezzi di cadavere nel frigo.
Torno alla tastiera e mi siedo. Davanti a me lo schermo, oltre allo schermo la porta di ingresso, chiusa a chiave. Fuori dalla porta un rumore metallico e intuisco che il padrone di casa sta tornando: meno male, avevo proprio una manciata di domande da fargli. Torno a concentrarmi sulla mail, ma qualcosa ancora non va come dovrebbe andare: chiunque sia la persona fuori dalla porta ci sta mettendo troppo. Mezzo minuto e ancora la porta non si apre e ad ascoltare bene non è rumore di chiavi quello che si sente, ma armeggiare di ferri da scassinatore. Non sono tranquillo. Non sono un cazzo tranquillo. Mi alzo dalla sedia, due passi indietro e sono sul balcone oltre la vetrata scorrevole a guardare la porta d’ingresso.
In quel preciso momento l’uscio si spalanca con un calcio secco di un uomo sulla cinquantina alto, capelli grigi, lungo impermeabile di pelle nera. Senza perdere un attimo il grigio punta la pistola verso il tavolo e spara un colpo centrando in pieno lo schienale della sedia dove io stavo seduto fino ad un attimo fa.
Nello stesso istante in cui penso “Ecco, lo sapevo” afferro la ringhiera con una mano e salto oltre il parapetto. Un lungo giro nell’aria e atterro malconcio sul terrazzo sottostante.
La botta mi sveglia.
La prossima volta vi racconto di come ho passato il we.

4 salti in padella

Ho messo su una manciata di foto del giro di domenica scorsa in zona Sestriere: la giornata, semibella dal punto di vista climatico, mi ha permesso di osservare da vicino due esemplari in libertà di homo-sapiens(?)-snowboarder. Dalle foto risalta come questa specie animale sia capace di grandi balzi grazie all’utilizzo di un largo pezzo di legno legato sotto ai piedi.
Quel che non si evince dalle foto è la loro altrettanto grande capacità di spiattellarsi al suolo alla fine del balzo.
Interessante, davvero interessante.