Aggiornamenti fotografici: ho messo su una manciata di foto più o meno vecchiotte e cosi’ abbiamo fatto contenti Gianluca e Fabrizio.
Il mese scorso ho iniziato un corso di Sci Alpinismo e quindi ho pensato bene di dare il la alla sezione “Si lavora e si fatica sulla pelle della foca” con relative foto.
Buon divertimento.
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Una dolce mattina d’inverno.
Era mattina ed era prima delle 9:30 quindi non ero ancora del tutto sveglio. Alzato sì, ma sveglio non del tutto. Ero tranquillo fermo allo stop in attesa che finisse il verde che veniva da sinistra e che passasse pure il vecchietto in bicicletta che, bontà sua, fretta non aveva.
Metto la prima e inizio ad impegnare l’incrocio (bella questa, erano anni che volevo usarla) mentre sento uno strombazzare alle mie spalle. Guardo negli specchietti e vedo (in tutti e tre contemporaneamente) un mercedes nero che spazientito tenta un sorpasso a sinistr-destr-sotto accompagnando l’elegante manova a piovra con reiterati conati di clackson.
Alla fine opta per un bruciante 0-100-0 alla mia destra senza badare a frecce o orpelli simili per fermarsi al semaforo successivo rientrando sulla mia corsia. Io, da parte mia, ho risposto con un elegante rataflash di abbaglianti corredato da un breve, ma deciso, segnale di avvisatore acustico.
Era chiaro fin dall’inizio che non poteva finire qui infatti il tizio apre la portiera fa per avvicinarsi. Io a quel punto sono gia’ fuori da un pezzo e mentre lui abbozza un “Ma stavi dormendo?” Io ho tutto il tempo di ricordargli di andare affanculo, di riguardarsi il codice della strada, di chiedergli se l’aveva visto il vecchio, di ripassare da affanculo. Entrambe soddisfatti da questo scambio di complimenti mattutini siamo ripartiti verso le rispettive destinazioni.
Che figata andare a lavorare in macchina in città.
Questioni centrali
L’infinita verifica di governo si è quasi conclusa con un brillante comizio in prima serata del capo del governo: dopo mesi e mesi di esternazioni e panni sporchi lavati in TV pare si siano accordati su qualcosa e visto che grosse poltrone non si sono mosse probabilmente si tratta di pura spartizione di potere interna.
E’ buffo notare come sui vari punti in discussione ci siano proposte (più o meno sgangherate) dei partiti minori mentre il partitone, lungi dall’avere un’idea che non sia “accumulo di potere per non finire in galera”, non abbia proposto nulla se non un Costanzissimo “Boni, state bbboni”.
D’altra parte per la bellicosa sinistra il problema centrale degli ultimi giorni è stata la scelta della preposizione tra “Uniti” e “Ulivo” e il colore dello sfondo del simbolo: temibile macchina da guerra…
Così temibile che Silvio ormai da parecchio non cita più gli avversari politici nei suoi discorsi e si concentra sui giudici, chè quelli sì che gli fan paura.
Si potrebbero tirare due somme e scoprire che il panorama delle ultime settimane ha generosamente regalato un simbolino nuovo da una parte e un (declassato?) “consigiere per l’economia” dall’altra.
Domani inizia l’assemblea che dovrebbe battezzare la lista unitaria del centrosinistra (o centro-sinistra?): verrà decisa una strategia comune o saranno ancora seghe con la colonna sonora di Guccini?
Il caro vecchio trucco
Ieri il giudice Hutton ha deciso che no non è vero che il capo del governo del Regno Unito ha manipolato maldestramente documenti in suo possesso per avvalorare la tesi della guerra preventiva: le decisioni che ha preso sono state conseguenza di un rapporto la cui veridicità era fuori dal suo controllo.
Se dal punto di vista giuridico non non c’è nulla da eccepire, mi permetto di fare una nota sul fatto che come accade sempre piu’ spesso, per nascondere una magagna è sufficiente creare una magagna ancora piu’ grossa e gonfiarla a dovere.
Tanto per non dimenticare: i motivi addotti per una attacco preventivo ad un paese che non aveva mosso guerra si sono rivelati infondati: è stata mossa guerra ad un paese che non rappresentava un pericolo immediato nei nostri confronti.
Detta cosi’ la notizia sembra abbastanza sconvolgente, ma sui nostri media viene annacquata tra inutili commenti sul lifting del Nano e rivelazioni sugli intrighi nella casa del Grande Fratello. Passa in secondo piano (che vuol dire: se ne parla una sera e poi si torna ad Amici di Maria) persino il fatto che il vicedirettore del telegiornale della prima rete pubblica italiana abbia rassegnato le dimissioni lamentando ingerenze che inquinano il modo di presentare le notizie politiche, e che nel fare questo sia stata sostenuta da una lettera di solidarietà firmata da 30 redattori della testata.
Sia nel caso di faida interna alla redazione, sia in quello ben più grave di prove generali di censura, in un paese con un livello decente di coscienza politica una notizia del genere avrebbe scosso qualche animo. Qui da noi ha spinto qualcuno in bagno prima dell’inizio della partita.
Come si puo’ spiegare un disinteresse simile? Sinceramente non lo so, ma sospetto che abbia a che vedere con l’appiattimento generale del livello culturale verso il basso. Non credo sia un caso il risultato di questa ricerca: 22 milioni e mezzo di italiani sanno a malapena leggere, scrivere e far di conto.
Di frizzi, lazzi ed altri affanni
A 23 giorni dall’evento e con un paio di giorni di ritardo rispetto all’omologo cinese, ecco le foto del festino di capodanno. Buon divertimento.
Cristina
Si presenta in un assurdo impermeabile bianco con un’improbabile collettone ellissoidale. Sale sul palco a cantare, e canta per te. Sale sul palco a suonare, e guarda te. Ti prende per mano, ti racconta delle storie, alla fine ti ringrazia perche’ l’hai ascoltata. La voce al tempo stesso lieve e profonda, delicato strumento di fascino. Scherza, con il pubblico, sempre in bilico tra la voglia di coinvolgere e una strana timidezza.
Ricordo la prima volta che ero andato a sentire un suo concerto. Era l’epoca di Lustando, festival musical-culturale durato qualche anno che aveva portato a Lu Monferrato una serie di gruppi più o meno noti con un grosso carrozzone musicale. Quella sera ero passato da Lu conoscendo solo di nome i tre artisti in scaletta. La Donà è salita sul palco con un lungo vestito azzurro e la chitarra in mano e ha iniziato, proprio come ieri sera, a prendere per mano il pubblico (in realtà stava suonando per me) con le canzoni del primo disco.
Tregua, Ho sempre me, Raso e chiome bionde. In “Labirinto” ha accompagnato la strofa con un bastone della pioggia: lo strumento giusto al punto giusto, ho pensato.
Poi mi ha guardato, mi ha cantato Stelle Buone e io non ho capito più nulla.
176
Nel microcosmo che condivide con me il numero civico non c’è posto per persone troppo normali.
Sul ciacun pianerottolo del condominio si affacciano due appartamenti. Io condivido il piano con una donna sulla cinquan-sessan-settantina, sguardo allucinato che spesso, verso le 7 del mattino, lancia, urlando, minacce di morte a un ipotetica coinquilina o a probabili parenti lontani. Chiaramente in casa non c’e’ nessun’altro se non lei.
Una delle prime volte che non l’ho incontrata stava uscendo dalla porta che ha fatto in tempo a richiudere quando mi ha sentito aprre la mia. Al giro successivo, qualche giorno dopo, ho aspettato di sentirla armeggiare con le chiavi prima di aprire e prodigarmi in un cordialissimo “Buongiorno !”. La pazza si è girata, mi ha guardato, non mi ha risposto, ha rimesso le chiavi in borsa ed è scesa con passo affrettato.
Ogni tanto la mattina, uscendo sulle scale, resto inchiodato sull’uscio da un tanfo di sigaretta marcia: è l’inquilina del quarto piano che si accende sempre la prima della giornata lungo le scale e fuma qualcosa che è ancora peggio delle Diana Rosse.
Sotto di me c’e’ il vecchio del primo piano, cieco come una talpa, che viene portato a spasso dal minuscolo cane. Sempre gentilissimo sulle scale, ma non sai mai se sta parlando con te o con la piglia alle tue spalle. “Buongiorno”. Si volta, cerca di intuire l’ombra. “Buongiorno” risponde nella mia direzione. E il cane se lo porta fuori.
Nel cortile dietro al palazzo stanno una manciata di box con saracinesca affittati a caro prezzo dai proprietari. L’intero isolato sul quale si affaccia il balcone della cucina che da su retro, assomiglia ad un grosso puzzle lasciato incompiuto con questi cubi prefabbbricati piazzati a coprire il terreno. Dei cinque parallelepipedi saracinescati che appartengono al mio palazzo, uno è usato da un vecchietto che vende fiori in via Chiesa della Salute. Il fioraio parcheggia lì il suo carretto, che ogni mattina di mercato si porta fino in piazza.
Se ho la fortuna di uscire quando lui appoggia il carretto nell’androne per aprire e chiudere il portone me ne accorgo appena sono fuori dalla porta perchè i fiori, parcheggiati temporaneamente tra le mattonelle vecchie e l’intonaco un po’scrostato, fanno in tempo a profumare la tromba delle scale mentre lui armeggia con il chiavistello.
P.S.
Quasi dimenticavo di farvi gli auguri di buon anno. Che vergogna. Quattro lettori e non li tratto neanche bene: auguri ragazzi. In uno slancio di follia vi auguro che il 2004 possa esaudire i vostri desideri, perciò state molto attenti a quel che desiderate: potrebbe avverarsi. Appena metto online le foto vi parlo anche del capodanno.
Il Compleanno
Sabato sera: è il 20 dicembre, domani sarà il mio compleanno ed il mio lui decide di portarmi fuori a cena in un ristorantino carino, senza troppi fronzoli, ma pieno di quell’atmosfera tra il conviviale ed il romantico.
Non è che non sia contenta, ma diamine!, c’è Empoli Roma, ultima partita dell’anno, che avrei voluto godermi dagli spalti dello stadio toscano, o, alle brutte, in un pub.
Ed invece, mi tocca la cena romantica.
Fortuna che il mio lui un po’ mi conosce ed ha anche una sana dose di senso dell’umorismo, ed anche qualche chilo in più di pazienza, perché, senza troppo pudore, ho approfittato di alcune sue brevi assenze dal desco, dovute al recupero del cellulare dimenticato distrattamente in macchina e per la ricerca, davanti allo specchio della toilette, di una lente a contatto capricciosa in giro per il bulbo oculare; infatti, mentre il mio inconsapevole cavaliere era lontano dal nostro intimo tavolino da piccioncini, io tiravo fuori dalla mia borsa “mary poppins” una provvidenziale radiolina, e, vergognandomi un po’ di fronte ai camerieri, belavo qualche monosillabo per far credere di avere all’orecchio l’auricolare del cellulare e non Riccardo Cucchi che contempla e descrive le meraviglie della manovra giallorossa.
Alla fine del primi 45 minuti, però, ho dovuto confessare: “posso ascoltare almeno la fine del tempo?”. Lui sorridendo, m’ha detto sì. E poi, sul due a zero, mi sono tranquillizzata, concedendomi, in maniera molto più convenzionale e rilassata alla cena ed alla conversazione.
Che bel compleanno che ho passato! Oltre alla bella cenetta, ci mancava solo che Totti dopo il “cucchieurogol” si sollevasse la maglietta e che ci fosse scritto “Auguri Katia” sulla maglia della salute e poi sarebbe stata un’apoteosi di compleanno!
Ma, visto che sono una personcina morigerata, mi accontento così: peccato solo che Trezeguet, invece, non fosse stato informato del mio compleanno ed abbia deciso di rendere meno euforica la festa.
Faccio a tutti i coraggiosi che sono giunti fin qui nella lettura gli auguri per delle splendide feste e, soprattutto, faccio gli auguri di pronta guarigione al Beckenbauer di Mottola (Le Frattaje), affinché ritorni presto in forma, sennò capita che poi Lippi sia costretto a schierare un difensore che marca gli attaccanti sul serio!
Il 6 Gennaio ci sarà l’altra mia festa: speriamo in un regalo analogo!!!
L’inferno alle porte di Torino.
Per arrivare all’inferno c’è da fare molta coda. Le macchine, serpente interminabile di luci rosse appaiate, si muovono a passo d’uomo con il loro carico di dannati rovesciando i maledetti di serie A davanti all’ingresso, e la merce di seconda scelta lungo la strada sterrata che dalle fiamme porta in basso, al fiume.
Anche entrare non è facile: c’è una rigida selezione all’ingresso e conoscere in anticipo il Virgilio del caso non aiuta giacchè la Guida non può uscire, noi non possiamo entrare e il telefonino, nel frastuono dei gironi, è un’inutile orpello.
Quando il Mastro di Chiavi decide che è giunta l’ora entriamo ed è subito bolgia di corpi accalcati. Caldo, ressa, fumo, sudore e sorrisi snaturati dalle distanze sbagliate. Lo stanzone è grande, ma non grandissimo, e disomogeneamente farcito di anime vibranti al ritmo di un ossessivo frastuono. Ci sono angoli nei quali si può persino respirare e altri invece in cui stretti l’un l’altro come buoi si cerca un pascolo migliore in una disperata transumanza.
Tutt’intorno ragazze che altrimenti avresti detto anonime mostrano cosce e tette alzando il livello ormonale medio dello stanzone con bassi trucchi da battona di periferia: “dove sono andati i tempi di una volta, per Giunone, quando ci voleva per fare il mestiere anche un po’ di vocazione” ?.
E quindi per tutta la sera speri di trovare aria fresca, magari un po’ di musica, qualcosa da bere, al limite un’avventura. Invece ogni stato d’anima è giocoforza disilluso: all’inferno la pena più tagliente è la frustrazione della speranza, perchè non c’è aria da nessuna parte. Perchè dieci metri più in la non c’è musica migliore. Perchè anche cambiando prospettiva le facce rimangono le stesse, una uguale all’altra.
L’inferno in realtà non è in strada traforo del pino. L’inferno è un luogo dell’anima.
Giustizia è fatta
“Marta Russo, condanne confermate”
Non si tratta di giustizialismo gratuito, ma di considerazioni su una sentenza di condanna confermata dalla Cassazione: se i due sono innocenti meritano assoluzione completa, se sono colpevoli di omicidio colposo 5 anni mi sembrano un po’ pochini.
Forse c’e’ qualcosa che non so che nessuno mi vuole dire?